Con
il termine gravidanza si delinea quella particolare condizione femminile
che va dal momento del concepimento al momento del parto, caratterizzata,
sul piano fisiologico, dall’aumento dei processi metabolici e, su quello
psicologico, dall’accentuazione di conflitti, ansie e frustrazioni
connesse all’evento.
Diventare
genitore rappresenta, all’interno del ciclo di vita, un evento che segna
lo sviluppo della personalità adulta della donna e della coppia nel suo
insieme; si può tranquillamente parlare di genitorialità in termini di
crisi evolutiva alla pari di quelle più conclamate tipiche
dell’infanzia e dell’adolescenza. Il confrontarsi con la propria
capacità procreativa, infatti, permette di sperimentare "l’assunzione
di responsabilità" e "il prendersi cura"; da inoltre
libero sfogo al proprio potere creativo, incluso quello
dell’auto-generazione, aprendo così le porte ad un ampliamento della
personalità stessa del genitore, che impara a conoscersi attraverso il
figlio.
Per
una donna cercare di avere le idee chiare in un momento così importante
della vita personale è quindi indispensabile. E’ risaputo ormai che una
gravidanza vissuta bene incide in maniera positiva sul neonato, che
dorme di più, mangia meglio, è più calmo, ha minori problemi
intestinali (coliche gassose), contrae minori infezioni e malattie.
Questo
discorso ci porta al problema dell’ansia. L’ansia è un sentimento di
preoccupazione che normalmente investe la vita di tutti i giorni, ma nel
corso della gravidanza diventa più costante e mirato a specifiche
problematiche.
Si
sperimentano principalmente:
-
L’ansia
che riguarda se stessa ed il proprio vissuto corporeo. La donna
cambia forma, peso e con ciò il rapporto con il proprio corpo e con
l’ambiente circostante. La pancia è l’elemento distintivo del
proprio essere gravide e per questo su di essa si infrangono orgoglio
e paure: potrò continuare a piacere? Tornerò come prima? Sono alcune
delle preoccupazioni più comuni e anche più sane, facilmente
superabili confrontandosi con chi ci è già passato.
-
L’ansia
per il figlio che dovrà nascere.
Molto spesso prendono forma dei timori che il bambino possa non essere
normale: tali idee sono a volte ossessive e le cause possono
ricercarsi nel senso di colpa, tendenze masochistiche, traumi
infantili. Sono preoccupazioni del tutto normali fintanto che
rimangono vincolate all’accertamento di normalità del feto: una
verifica di routine tramite ecografia solitamente basta a togliere
questi pensieri.
-
L’ansia
legata al rapporto con il proprio compagno. All’arrivo
del nuovo nato, ma anche nell’attesa, la coppia è chiamata a
riorganizzare i tempi e gli spazi fisici della propria vita; il
passaggio dalla vita di coppia a triade è complesso e spesso a farne
le spese è la vita sessuale. Un po’ tutte le donne vivono la
sessualità in opposizione alla maternità, in questo momento
diminuiscono soddisfacimento e frequenza dei rapporti sessuali in
maniera sempre maggiore, mentre diminuisce in modo più lieve il
desiderio generando così un senso di insoddisfazione che se non
affrontato può protrarsi anche a parto avvenuto.
·
Elemento caratteristico
della gravidanza è la regressione, ossia quel processo che si manifesta
con l’instaurarsi di stati d’animo e comportamenti caratteristici
dell’infanzia, come la necessità di essere accudita e coccolata, le
famose voglie, una certa fragilità legata anche a sbalzi d’umore, un
riavvicinarsi alla propria madre o al contrario il riemergere di conflitti
persecutori di tipo pre-edipico. Tale regressione è funzionale al ruolo
che la donna sta per assumere, poiché la rende in grado di comprendere i
bisogni del bambino identificandosi con esso. Questo orientarsi totalmente
sul bambino fa si che la donna sperimenti un’altra dimensione tipica di
questo periodo: il rapporto tra introversione e mondo esterno. La
gravidanza porta infatti la madre a concentrarsi maggiormente verso il
mondo interiore che è rappresentato da quell’esserino che ha forma solo
nella sua immaginazione, spingendola così a escludere il mondo esterno.
Se i due sistemi, interno e esterno, restano in equilibrio, la gravidanza
viene vissuta in modo positivo, altrimenti uno squilibrio può portare
all’indifferenza ed alla povertà affettiva. In questo è molto
importante, ma poi lo è in tutti i campi e momenti della gravidanza, il
ruolo attivo del partner. Può essere superfluo dirlo ma pazienza,
attenzioni e cure sono indispensabili alla donna incinta, che è alla
continua ricerca di rassicurazioni.
Leggendo
la gravidanza in chiave psicoanalitica si può supporre un qualche
percorso di elaborazione simbolica della donna di questo periodo della sua
vita che è collegabile alle varie fasi fisiologiche della stessa. Ogni
fase è espressione di determinate manifestazioni psichiche.
Durante
il primo trimestre di gravidanza la donna sarebbe impegnata
nell’accettazione della gravidanza stessa. Anche se è un fatto
programmato e atteso inevitabilmente si innescano alcuni processi di
ambivalenza connessi alla diade accettazione/rifiuto che si esprimono
attraverso le manifestazioni
somatiche tipiche dei primi mesi, quali le nausee, le intolleranze
alimentari, le crisi di fame, diarree, riconducibili al meccanismo di
espulsione e ritenzione simbolica del feto. Psicologicamente il passo da
fare è l’accettazione del feto come parte del sé, in una sorta di
fusione; questo processo avviene in automatico in ogni donna, nei rari
casi in cui non dovesse avvenire può verificarsi un aborto, senza alcuna
motivazione fisiologica.
Nel
secondo trimestre i movimenti fetali permettono a livello psichico
il differenziarsi della madre dal bambino. Diventando un essere a parte il
bambino suscita maggiori timori nella madre che sperimenta quell’ansia
da deformazione precedentemente trattata, con maggiore intensità. In
questi mesi il controllo emotivo è più difficile e le esigenze affettive
della donna aumentano notevolmente.
L’ultimo
trimestre è caratterizzato dalla paura del parto, che comporta un
distacco faticoso sia dal punto di vista psichico che dal punto di vista
fisico. Alla sensazione di perdita si uniscono la paura del parto in sé e
del danneggiamento della propria integrità fisica, le paure sul bambino
riguardo al fatto che possa morire etc… Ad equilibrare questi vissuti
negativi affiora il desiderio del figlio, del primo contatto fisico con un
qualcosa che fino a quel momento la donna ha vissuto dentro ma ancor più
nella sua mente.
Il
parto è il culmine della gravidanza, è la prova evidente della
propria capacità di dare la vita, ma ad esso è inevitabilmente associato
il dolore.
Il
dolore è più intenso e lacerante durante la fase dilatatoria, dove la
donna sperimenta un senso di impotenza e passività che non le permette di
rispondere agli stimoli che le vengono dai muscoli pelvici; nella fase
espulsiva invece il dolore si fa meno forte e lascia il posto a un senso
di angoscia depressiva che è legata al timore di nuocere al bambino, la
donna assume così un ruolo attivo.
Il
periodo successivo al parto, comunemente denominato puerperio,
solitamente vede la fine delle ansie e degli sbalzi di umore tipici della
gravidanza. In alcuni casi però si verifica un proseguo di sensazioni
negative nei giorni subito dopo al parto che possono generare da una lieve
depressione fino a una vera e propria psicosi puerperale. Quest'ultima
sindrome è caratterizzata da forti sensi di colpa, impulsi aggressivi,
fantasie proiettive sul neonato, stati confusionali ricchi di elementi
onirici. La prognosi, dopo un decorso che varia da qualche giorno a pochi
mesi, è di solito favorevole se non esistono precedenti episodi
psicotici.
Oggigiorno
molti servizi sono volti ad assicurare alla donna una gravidanza ottimale,
per quanto riguarda il settore psicologico: il "counseling" (tanto
per fare un esempio ma poi esistono molti approcci alla questione)
ha adibito un intero filone di studi per le madri nel periodo
successivo alla nascita del figlio, così da permettere loro di affrontare
con maggiore consapevolezza di sè la relazione con il bambino.
Infine
un consiglio, la gravidanza è un momento speciale della vita di una
donna, nessuna è uguale all’altra e quindi, dato che si vivono molte
emozioni tutte insieme e ricordarle tutte non sarebbe possibile, forse
varrebbe la pena mettere nero su bianco quello che si prova giorno per
giorno, così da mantenere anche un saldo rapporto con se stesse.
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